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Apple lascia Intel per Arm
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Apple dice addio a Intel e lancerà i primi Mac con processore Arm

Con un annuncio che ha già segnato la storia dell’informatica, durante lo scorso WWDC 2020 Apple ha promesso l’abbandono di Intel in favore di processori ARM su Mac.

Le ragioni di questa strategia sono profonde e avranno un impatto enorme su utenti e sviluppatori.

Progettando internamente i propri processori, infatti, Apple e i suoi utenti godranno di innumerevoli vantaggi, tra cui:

  • Controllo: Addio alle attese e alle roadmap disattese. Apple non sarà più costretta a sottostare ai cicli di rilascio di Intel; potrà decidere quando lanciare nuovi modelli di processore, e soprattutto decidere quali funzionalità debbano integrare.
  • Scalabilità: Impiegando la medesima tecnologia di processori su iPhone, iPad e Mac, si risparmia, si rende più coesa la piattaforma e al contempo si spinge all’integrazione di tecnologie sempre più all’avanguardia, mutuando dal mondo PC quel che serve al mondo mobile, e viceversa.
  • Universalità: Quando l’hardware sarà pressoché identico, lo stesso software che gira su Mac potrà girare anche su iPhone e iPad, e viceversa. Ciò significa che non dovremo più acquistare versioni differenti del software. Un’app per sistemi Apple funzionerà semplicemente su tutti i vostri dispositivi e computer.
  • Autonomia: Un processore nato per il mondo mobile consuma molto meno dei suoi omologhi nati per il mondo PC, e questo si traduce in portatili più sottili, che scaldano meno e dotato d’una durata più estesa della batteria.

Ovviamente, tra tanti pro, non mancheranno i contro; la transizione, per quanto coadiuvata da Apple, sarà pur sempre una seccatura; inoltre il software virtualizzato (cioè fatto girare su una piattaforma non nativa) non è performante come quello nativo, ma d’altro canto i vantaggi del passaggio ad ARM sono tali che vale la pena sopportare un po’.

PERCHÈ ARM?

I processori ARM sono già in uso -e da tanto tempo- su iPhone, iPad, Apple Watch e Apple TV; in più vengono utilizzati per gestire la sicurezza nei Mac di ultima generazione. Basandosi sulle specifiche di questa piattaforma, gli ingegneri di Cupertino possono creare le CPU di cui hanno bisogno, potenti quanto necessario e dotate delle funzionalità hardware che servono al software.

In virtù di questa novità, Apple può slegarsi dai cicli di sviluppo di Intel e decidere da sé quando rilasciare nuovi processori (e dunque nuovi Mac). Inoltre, ogni avanzamento tecnologico su macOS potrebbe portare benefìci anche ad iOS, e viceversa. Si tratta di una scelta coraggiosa ma molto lungimirante.

QUANTO SONO POTENTI?

I processori che Apple infilerà sui Mac saranno specificatamente progettati per questo scopo, e dunque -a fronte di consumi contenuti- di sicuro consentiranno di raggiungere prestazioni per lo meno paragonabili a quelle di Intel.

Ovviamente, è presto per lanciarsi in previsioni azzardate, ma qualcosa possiamo già anticiparla. Sappiamo infatti che il chip A12Z degli attuali iPad Pro è già paragonabile ai Mac di fascia bassa e media in determinati compiti come i rendering video e la conversione audio. Lo rivelano i test di velocità.

E non è un caso che questo sia il chip prescelto da Apple per i Developer Transition Kit (DTK), cioè i Mac mini ARM dedicati agli sviluppatori; macchine che servono a testare il software che girerà sui Mac del futuro.

SARANNO MIGLIORI?

Si e no, ma occorre fare alcune considerazioni. È evidente che con questo salto tecnologico Apple, voglia spianare la strada ai futuri Mac: dunque, alla luce del buon senso, si rema quantomeno in quella direzione. Ma non è così scontato che le prime macchine saranno così tanto performanti, soprattutto se paragonate alle CPU di fascia alta e altissima di Intel.

Inoltre, non è detto che l’ultima novità rappresenti necessariamente la cosa migliore per tutte le tipologie di utenti. Per una serie di importanti ragioni:

  1. Scarsità di Software: Sebbene gli sviluppatori abbiano qualche mese per iniziare a lavorare sul software nativo per Mac ARM, ci vorrà parecchio tempo per completare la transizione. Neppure Apple si sogna di dire addio a Intel dall’oggi al domani: sarà un processo lungo, che durerà un paio d’anni; lasso di tempo in cui continueranno ad essere rilasciati Mac Intel come al solito. Fino a quando la situazione non si sarà normalizzata, è praticamente certo che molto software resterà vincolato a Intel (ma questo non significa che non potrete usarlo, vedi punto successivo).
  2. Rosetta 2: Poiché è impensabile portare l’attuale parco software da Intel ad ARM in pochi mesi, Apple ha escogitato una tecnologia di emulazione chiamata Rosetta che consente di avviare app Intel su processori ARM; la contropartita è che le prestazioni saranno degradate. Dunque, che senso ha acquistare l’ultimo modello di Mac, se poi le app che vi servono girano più lente che sul vecchio computer? E questo è un fenomeno che andrà avanti per diversi annetti.
  3. Boot Camp: Col passaggio ad ARM, dite addio a Windows su Mac. O per meglio dire, dimenticate la fluidità e la semplicità con cui poteva essere installato e avviato sulla nostra piattaforma. In presenza di hardware non x86, Boot Camp verrà eliminato da macOS, e occorrerà sostituirlo con software più pesanti e complessi (a pagamento), con prestazioni molto inferiori rispetto a quelle cui eravamo abituati. In altre parole, se Windows vi serve per lavoro, restate coi Mac Intel fino a quando possibile.

QUANDO ARRIVANO?

A dire di Apple, il primo Mac con processore ARM sarà introdotto entro la fine del 2020, e altri seguiranno nel corso dei due anni successivi, fino al completamento della transizione. Stando alle indiscrezioni dei soliti ben informati, sembra che il lancio avverrà a novembre 2020 subito dopo i nuovi iPad Air e iPhone 12.

Non è stata fatta esplicita menzione del modello apripista, ma è praticamente certo che si tratti di un un portatile; facile ipotizzare che il prescelto sarà il MacBook Air o il MacBook Pro. L’ultimo a fare il grande salto, invece, sarà con ogni probabilità il Mac Pro. Per quest’ultimo, infatti, serve molta potenza, e dunque un’ottimizzazione certosina del processore.

Fonte: Ipermela.com

web check-in
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Web check-in

L’accoglienza diventa digitale grazie alla tecnologia con il WEB CHECK IN

Procedura online che consente al cliente di registrare autonomamente i propri dati personali, comunicandoli così alla struttura.

VANTAGGI DEL WEB CHECK-IN

  • Riduzione contatto con il cliente al momento del check in hotel (distanziamento sociale);
  • risparmio del tempo grazie al trasferimento dei dati direttamente nel PMS (nel caso di gestionale Sys Hotel Genius);
  • acquisizione dei dati del cliente (es. mail effettiva);
  • possibilità di fornire al cliente un’area riservata dove poter trovare offerte e promozioni dedicate.

FASI DEL WEB CHECK-IN

  • Comunicazione al cliente;
  • registrazione alla web area;
  • compilazione dati;
  • trasferimento dati al PMS;
  • invio dati a Questura ed Istat.
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Termocamere
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Termocamere per rilevamento della temperatura corporea a distanza

Una soluzione altamente tecnologica per RILEVARE IN TEMPO REALE GLI STATI FEBBRILI delle persone.

Già installate con successo all’interno degli aeroporti, le termocamere permettono di effettuare uno SCREENING RAPIDO e PRELIMINARE della temperatura corporea dei soggetti che si trovano all’interno di edifici aperti al pubblico.

Le termocamere sono l’ideale per HOTEL, UFFICI, FABBRICHE, STAZIONI, AEROPORTI e in generale luoghi aperti al pubblico.

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droni pieghevoli
Tecnologia

I soccorsi anche dove non è possibile con i nuovi droni pieghevoli

DRONI come uccelli, in grado di piegare le loro “ali” per passare attraverso le più piccole fessure. Li hanno realizzati i ricercatori dell’università di Zurigo che adesso puntano a sviluppare un algoritmo per rendere il robot completamente autonomo e capace di scegliere da solo qual è la via giusta da fare davanti a un percorso accidentato. “L’obiettivo finale è dare un alto livello di ‘istruzione’ al drone per far sì che possa entrare e uscire da un edificio dopo aver ispezionato ogni stanza, capendo in autonomia come riuscirci”, spiega Davide Falanga, principale autore dello studio appena pubblicato su IEEE Robotics and Automation Letters.

COME FUNZIONA

Il meccanismo dietro è molto semplice. Si tratta di un drone con quattro eliche che funzionano indipendentemente tra loro, montate su supporti mobili in grado di ruotare intorno al telaio principale. Tutto merito di motori dotati di un sensore che fornisce feedback sulla posizione (servomotors). L’asso nella manica è un sistema che permette di adattarsi in tempo reale a ogni nuova posizione delle braccia, regolando la propulsione delle eliche man mano che il centro di gravità si sposta. Così il drone riesce a farsi più compatto, continuando comunque a volare. Se ha davanti una finestra rotta o delle sbarre, può assumere la forma di una H con tutte le braccia allineate lungo un asse, oppure quella di una O con i supporti piegati il più possibile vicino al corpo.

Un altro cambiamento gli permette di afferrare qualcosa, allineando due braccia sullo stesso asse, per stringerla. Mentre se si vuole avvicinare la telecamera di bordo all’oggetto che il drone deve analizzare si ha l’opportunità di stendere due braccia in orizzontale e le altre due in verticale, andando a creare una sorta di T. Una volta completata la missione, il robot torna alla classica struttura a cui siamo abituati. Quella di una X. Un’idea che gli scienziati hanno avuto proprio prendendo a modello gli uccelli, il modo in cui piegano le ali a metà per volare tra le rocce.

L’OBIETTIVO: AIUTARE I SOCCORSI

Lo scopo “è aiutare i soccorritori che si trovano di fronte a edifici danneggiati da incendi o terremoti”, commenta Davide Scaramuzza, direttore del Robotics and Perception Group dell’università di Zurigo, il laboratorio dove è stata condotta la ricerca. Situazioni a rischio, dove un aiuto robotico potrebbe fare la differenza. “Questo tipo di drone riuscirebbe a cercare persone intrappolate e, una volta trovate, a guidare la squadra nella direzione giusta. O a trasportare una bottiglietta d’acqua, o un kit di primo soccorso. Un lavoro che i prodotti commerciali attualmente usati nelle operazioni di ricerca non riescono a fare per via di una forma rigida. Caratteristica che non gli consente di passare attraverso finestre rotte o dotate di inferriate, limitando il loro possibile contributo”.

 

Automazione, Informatica, Tecnologia

Ericsson e gli smart robot

Da poco Ericsson ha festeggiato i suoi 100 anni di storia in Italia. E nell’evento milanese sono state presentate demo del 5G: questa nuova tecnologia di tramissione applicata alla robotica, alla musica connessa, al VRGaming e all’automazione industriale.

Ericsson Smart System per smart robot
La demo è il risultato di un progetto in collaborazione con IIT, un’iniziativa che ha lo scopo di comprendere i benefici che la robotica trarrà dalla rete 5G. Il robot iCub cammina e interagisce con alcuni oggetti controllato in remoto da un operatore umano dotato di Oculus e relativi controller. L’operatore vede tramite gli occhi del robot e il robot imita tutti i suoi movimenti in tempo reale. Le performance del robot sono rese possibili grazie all’infrastruttura di rete 5G che IIT ed Ericsson stanno sperimentando per l’assistenza sanitaria remota per mezzo di dispositivi robotici come robot chirurgici e sistemi diagnostici e terapeutici robotici.

Musica Connessa
Grazie al 5G, musicisti localizzati in luoghi diversi avranno la possibilità di suonare in tempo reale. Durante la demo i componenti della band, situati su due piani diversi, hanno dimostrato in modo pratico e reale come sia davvero possibile, grazie alla bassa latenza del 5G, sincronizzare una cosa cosi complessa come la musica. Il progetto si chiama Music Connect.

Realtà virtuale
La rete 5G è stata usata per una dimostrazione riguardante il futuro della realtà virtuale. Le applicazioni di realtà virtuale sono già oggi capaci di portare innovazione in molti settori tra cui il turismo, la sanità e il gaming. Il 5G grazie alla velocità di trasmissione dei dati, alla bassa latenza e al risparmio energetico, consentirà lo sviluppo di queste applicazioni offrendo un’esperienza immersiva mai vista prima.

Automazione Industriale
La tecnologia 5G consente di ottimizzare il processo produttivo, di rilevare tempestivamente i problemi di qualità per prevenire i difetti e di apportare miglioramenti continui, mentre si svolgono attività di manutenzione predittiva e preventiva. La collaborazione tra Ericsson e Comau ha dimostrato come un sistema robotico intelligente sia in grado di svolgere varie attività, tra cui assemblaggio, gestione e confezionamento, utilizzando la tecnologia 5G per la connettività e il coordinamento tra robot/sensore e il remote controller nel cloud.

Fonte: Repubblica/Tecnologia

Informatica, Tecnologia

Il futuro del tv secondo Samsung

Prendete il telecomando del televisore e mettetelo da parte. Tra qualche anno potrebbe essere un cimelio dal valore inestimabile. Nel corso della Samsung Developer Conference di inizio novembre, nel corso della quale è stato presentato lo smartphone pieghevole Samsung e fornito qualche dettaglio sul prossimo Galaxy S10, la casa sudcoreana ha dato un assaggio di come sarà il TV del futuro.

Come abbiamo accennato, diremo addio al telecomando e avremo la possibilità di controllare il televisore tramite la telepatia. Per passare da un canale a un altro, per abbassare o alzare il volume e, ovviamente, per accendere o spegnere il TV sarà sufficiente pensarlo e, nel giro di una frazione di secondo, il dispositivo risponderà al comando inviato tramite il nostro pensiero. La tecnologia è stata inizialmente pensata e sviluppata per le persone con problemi di mobilità, come chi è affetto da quadriplegia e altre forme di paralisi ma potrebbe rappresentare una rivoluzione per l’intero settore degli elettrodomestici. Se dovesse funzionare, potremmo usare e controllare lavastoviglie, forno e lavatrice (tanto per fare tre esempi) a distanza e senza bisogno di interfacce video.

Come funziona il TV che si controlla con il pensiero

Per far funzionare il software per controllare TV ed elettrodomestici con la telepatia ha collaborato con il Center of Neuroprosthetics dell’Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne (EPFL) per tre mesi raccogliendo dati e informazioni su come funzioni il cervello quando ha bisogno di qualcosa e vorrebbe compiere un’azione. Una volta che si hanno dati a sufficienza su come funzionano le onde cerebrali e la loro corrispondenza con le varie azioni che si compiono (o si vorrebbero compiere) è possibile creare un modello di lavoro. A questo, poi, si uniscono vari algoritmi di machine learning che permettono di trasformare gli impulsi cerebrali in azioni concrete che, nel caso specifico, si traducono nel cambiamento dei canali o nell’aumento del volume del TV.

 

Fonte: Tecnologia.Libero

Google Car
Automazione, Tecnologia

Google car a guida autonoma, neanche il collaudatore

Nessuno a bordo: in California le auto a guida autonoma potranno andare in giro da sole. Senza collaudatore, tester o ingegnere nell’abitacolo, pronto a prendere i comandi in caso di emegenza.

Crolla un tabù: siamo davanti ad una tappa fondamentale nella sperimentazioine dell’auto senza pilota che ora rende davvero onore al suo nome. Waymo, la divisione vetture driveless di Google, ha infatti appena incassato l’ok per provare le sue macchine sulla strade della California. E lo stato americano si porta a casa così il primato mondiale perché mai nessuno prima aveva autorizzato una cosa del genere, anche se ormai, in tutto il pianeta, più di 60 aziende hanno il permesso di provare su strada – in diversi Paesi – le proprie auto autonome.

Certo, dopo il famoso incidente di Uber abbiamo tutti visto l’inutilità della presenza a bordo del “pilota”, e tutti sappiamo che dal punto di vista statistico le vetture driveless sono sicurissime. Ma nella corsa della realizzazione dell’auto a guida autonoma, siamo comunque davanti ad una tappa epocale. A proposito di tappe, visto che ormai sul tema se ne sentono di tutti i colori, ecco lo stato dell’arte della situazione, secondo l’Istituto Federale di Ricerca per i Trasporti e la Mobilità tedesco (il Bundesanstalt für Straßenwesen), che ha definito i 5 livelli di guida autonoma, considerati oggi uno standard per tutti.

 

Livello 1: guida assistita – IN VENDITA
Per questo livello basta avere il Cruise Control o il più evoluto Adaptive Cruise Control. Quindi molto diffuso. In pratica è un supporto alla guida e il sistema non assume mai il pieno controllo della vettura.

I sistemi di assistenza mantengono la vettura nella giusta corsia e alla corretta distanza di sicurezza dal veicolo che la precede. In questo modo il conducente può riposare sia le gambe che le mani, ma il livello di attenzione deve rimanere alto in caso si verifichi la necessità di intervenire tempestivamente.

Livello 3: guida altamente automatizzata – IN VENDITA ma in fase Prototipale
La persona che si trova al volante può staccare gli occhi dalla strada perché l’auto sterza, frena e accelera da sola. Caratteristica ulteriore è che le auto di questo tipo sono anche già in grado di comunicare tra loro. Ad esempio, L’Audi A8 è stata la prima vettura di serie a raggiungere questo livello di automazione, anche se la legislazione di molti Paesi ancora non la prevede.

Livello 4: guida completamente automatizzata – ALLO STUDIO, di serie nel 2025
L’auto guida autonomamente per la maggior parte del tempo, non soltanto in occasioni particolari di reale necessità. Sa gestire situazioni complesse senza che il conducente debba intervenire. Egli così si trova sempre ovviamente in posizione di guida, ma nel frattempo può occuparsi anche di altro mentre l’auto procede. Per questo tipo di tecnologia siamo ancora in fase prototipi. Nessun’auto di serie ha questa dotazione, anche per motivi legati alla legislazione della maggior parte dei Paesi.

Livello 5: guida autonoma – ALLO STUDIO, di serie nel 2030 circa
Parliamo del massimo livello di guida autonoma, nei veicoli sparirà addirittura il volante. Si tratta di auto super intelligenti, connesse con le infrastrutture e anche con gli altri veicoli. In questo modo, possono muoversi in modo più sicuro in ogni genere di situazione e condizione, senza alcun disturbo. Il conducente non esisterà più, sarà al pari di ogni altro passeggero.

 

 

Fonte: Repubblica/Tecnologia

Informatica, Tecnologia

Realizzato il micro-computer

Il computer più piccolo del mondo, che con i suoi 0,3 millimetri di lunghezza è perfino più piccolo di un chicco di riso, molto più piccolo: è stato realizzato dall’Università del Michigan, che si è riappropriata del primato dopo che l’Ibm aveva annunciato la costruzione di un dispositivo simile a marzo 2018. Tuttavia è proprio l’Ibm a sollevare il dubbio che si possa parlare di veri e propri “computer”, dal momento che perdono tutti i dati ogni volta che restano senza corrente. Lo studio è stato presentato al Simposio su tecnologie e circuiti integrati a Honolulu. “Non siamo sicuri che si possano chiamare o meno computer”, commenta David Blaauw, che ha guidato la ricerca insieme a Dennis Sylvester e Jamie Phillips. “Il fatto che abbiano o meno le funzionalità minime richieste è un fatto opinabile”.
I mini-computer sono stati progettati come sensori di precisione per la temperatura, in grado di rilevarla anche in un insieme di cellule con un errore di circa 0,1 gradi, ma potrebbero essere adattati per una grande varietà di applicazioni. “Quando abbiamo realizzato il nostro sistema non sapevamo con esattezza tutte le cose per le quali poteva essere utile – aggiunge Blaauw – ma una volta pubblicato abbiamo ricevuto dozzine e dozzine di richieste”.
I nuovi dispositivi sono troppo piccoli per avere tradizionali antenne radio, perciò ricevono e trasmettono dati grazie alla luce visibile: “Abbiamo dovuto inventare nuovi approcci per progettare circuiti che consumano poco e tollerano la luce”, dice Blaauw. Inoltre i ricercatori hanno anche dovuto superare un altro ostacolo: ottenere un’efficienza elevata pur consumando poca energia, cosa che di solito aumenta la perturbazione e il disturbo dei segnali elettrici.
Informatica, Tecnologia

Il primo server sottomarino firmato Microsoft

Le aziende sono alla continua ricerca di soluzioni per lo storage dei dati affidabili e dalle prestazioni elevate. Allo stesso tempo, c’è la necessità che tali soluzioni siano sostenibili dal punto di vista ambientale. È questo che ha spinto Microsoft a sviluppare Project Natick, il primo data center sottomarino che contiene 864 server completamente alimentati da energia rinnovabile.

Un server sul fondo dell’oceano

A inizio mese, Microsoft ha collocato il suo primo data center sottomarino e autosufficiente, sul fondale oceanico vicino alle Isole Orkney in Scozia.Pressappoco delle dimensioni di un container, il data center tubolare contiene 864 server ed è collegato a un grande peso triangolare che lo fissa al fondo marino a oltre 30 metri al di sotto della superficie dell’oceano.

Secondo Microsoft, l’acqua oceanica, in media più fredda dell’aria ambientale, potrebbe abbattere i costi degli impianti di aria condizionata. La vicinanza degli oceani alle città dove risiede la maggior parte degli utilizzatori dei servizi cloud potrebbe inoltre comportare un aumento della velocità di fruizione di tali servizi.

Le isole Orkney sono state una scelta strategica per il primo data center poiché di interesse anche per altri progetti sperimentali di energia rinnovabile. Le isole ospitano il Centro europeo per l’energia marina, che sfrutta l’acqua naturalmente turbolenta per raccogliere l’energia delle maree, oltre a una notevole quantità di energia eolica generata sulla terra per creare il 100% di energia rinnovabile per l’isola. L’EMEC genera più che sufficiente energia per i 10.000 abitanti delle isole e un cavo collegato alla rete di Orkney Island alimenta il centro dati subacqueo di Microsoft.

Project Natick – 1 anno di test

Il team di ricercatori ne monitorerà il funzionamento per un anno, considerando anche la sostenibilità dal punto di vista economico, ambientale e logistico. Il progetto nasce in un orizzonte in cui il Cloud Computing è sempre più utilizzato e rappresenta un volano per la crescita economica, rendendo sempre più centrale il ruolo dei data center. Il posizionamento nell’oceano, inoltre, permette una maggiore contiguità rispetto agli utenti finali, dato che oltre la metà della popolazione vive entro 200 km dalla costa, riducendo così il tempo di latenza (ovvero il tempo necessario ai dati per viaggiare dalla fonte alla destinazione) e offrendo di conseguenza prestazioni migliori.

Secondo i primi test condotti da Microsoft, le capsule genererebbero solo un “quantitativo estremamente piccolo” di calore, poiché l’energia che utilizzano è quella delle correnti marine e non ci sarebbe alcuna dispersione di calore, a parte quella legata alla conversione dell’energia. I ricercatori dell’azienda hanno anche registrato con sensori acustici che il ticchettio delle testine dei dischi e il fruscio delle ventole è sovrastato dal rumore di un singolo gamberetto che nuota vicino la capsula.

 

Fonte: The Next Tech

Google 1
Informatica, Tecnologia

Google 1, più cloud storage per tutti

Sempre più file, sempre più foto, video: spesso anche in risoluzione 4K. Le abitudini degli utenti stanno cambiando, e deve cambiare anche il cloud storage di Google: per questo da Mountain View hanno annunciato un nuovo marchio che si aggiunge alla galassia di quelli già disponibili, che servirà a differenziare il servizio gratuito di Drive da quello a pagamento. Google 1 cambia prezzi e spazi disponibili per i clienti, e sarà lanciato nei prossimi giorni negli Stati Uniti e in seguito anche nel resto del mondo.

Google Drive non cambia

Chi registra un account Gmail, o più in generale su una property Google, ottiene accesso anche a Drive: si tratta dell’offerta base di cloud storage, di archivio remoto, offerta da Google e comprende 15 gigabyte di spazio che possono essere utilizzati per stivare file, immagini e altri tipi di file. 15GB costituiscono anche il limite superiore di spazio disponibile nella propria casella di posta, da condividere con Drive: se, come accade spesso, si raggiunge questo limite si è costretti a cancellare qualcosa o a sottoscrivere un piano a pagamento per aumentare lo spazio.

Qui entra in gioco il nuovo Google 1. In pratica ora a Mountain View hanno deciso di attribuire un’etichetta diversa allo storage a pagamento, anche per far meglio comprendere che fa qualcosa di più che semplicemente ospitare posta, foto e i file di Google Docs. Google 1 è un archivio remoto a tutti gli effetti, che si pone in diretta concorrenza ai servizi Dropbox e Onedrive, e ora amplia la propria offerta con nuovi prezzi e nuovi tagli a disposizione dei clienti.

Il nuovo listino

Attualmente, quando si raggiunge il limite di 15GB si può optare per un upgrade a scelta tra 100GB a 19,99 euro l’anno (o 1,99 euro al mese), 1 terabyte a 9,99 euro al mese (99,99 euro l’anno) o salire addirittura fino a 10 tera sborsando quasi 100 euro al mese. Chi non può proprio fare a meno di accumulare file può arrivare anche ai tagli da 20 e 30 terabyte.

Nella nuova versione del listino targata Google 1 ci sono nuove tagli di spazio disponibile: resta invariata l’offerta da 100GB, c’è una nuova offerta da 200GB da 2,99 dollari (che probabilmente diventeranno 2,99 euro da noi), sparisce l’offerta da 1 tera sostituita da quella da 2 terabyte allo stesso prezzo (9,99 al mese). Inalterato il prezzo dei tagli superiori: 10 terabyte a 99,99 euro, 20TB a 199,99 euro, 30 tera a 299,99 euro al mese.

In più, i clienti paganti (anche quelli da 100GB) riceveranno un supporto diretto scritto per risolvere eventuali problemi riscontrati nell’uso del servizio. Infine, Google 1 comprende l’opzione famiglia per dividere lo spazio con fino a 5 utenti ciascuno dotato di una quota fissa e spazio separato distinto da quello degli altri.

Non è finita?

Il nome Google 1 lascerebbe pensare a un abbonamento unico che riunisca assieme tutti i servizi di Mountain View, dalla musica ai video, fino allo storage. Non è cosìGoogle 1 è solo l’offerta per espandere lo spazio storage a disposizione dei diversi servizi di BigG (in particolare Drive e Photo).

Fonte: The Next Tech